La presente sezione è dedicata al tema della protezione giudiziaria dei diritti umani in sede internazionale.
Si tratta di una scelta motivata, oltre che dall'indubbio interesse che riveste la materia, anche da recenti importanti avvenimenti quali l'adozione da parte della Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite dello Statuto della Corte penale internazionale, avvenuta a Roma il 17.7.1998 (ratificata con legge n. 232 del 12.7.1999) e l'approvazione il 7 giugno 1999 della legge di ratifica dell'accordo, concluso a L'Aja il 6.2.1997, tra il Governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, istituito nel 1993 e nel cui ambito si è proceduto, qualche mese fa, alla messa in stato d'accusa di Slobodan Milosevic.
La materia della protezione dei diritti umani, in altre parole, riconosciuta in Europa in via esclusiva alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, quale organo giurisdizionale permanente, composto da 17 giudici, con sede a Strasburgo, tende verso la totale giurisdizionalizzazione.
Rispetto ad un approccio che in Europa sostanzialmente riconduceva il merito delle questioni sollevate all'alveo nazionale con un rilievo precipuamente politico, una maggiore efficacia delle decisioni attinenti alla violazione dei diritti umani avrà l'auspicabile effetto di indurre gli Stati maggiormente inadempienti a fare il possibile per evitare una sequela di condanne, certamente lesive dell'immagine democratica di ciascuno.
Particolarmente rilevante, per ciò che concerne gli organismi di intelligence, è l'art. 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo, riguardante il rispetto della vita privata e familiare, in relazione al quale si sono avute condanne da parte della Corte anche nei confronti di Stati la cui legislazione, pur prevedendo le forme di ingerenza nella sfera privata con riferimento ai tre criteri cardine di legalità, finalità e necessità, ometteva di indicare nelle norme tempi e limitazioni di tale ingerenza.
Di notevole interesse è la giurisprudenza in materia della Corte, la quale ha anche affrontato la questione riguardante il ruolo degli "agenti provocatori". In proposito, viene pubblicata, in lingua italiana e in lingua inglese, la sentenza Lüdi/Svizzera, emessa nel 1992. La Corte ha posto l'accento, in particolare, sulla necessità di bilanciare gli interessi della difesa ad un "equo processo" - e pertanto a poter procedere, ad esempio, al controinterrogatorio dei testi a carico - con l'esigenza, rilevante nella fattispecie, del mantenimento dell'anonimato di testimoni appartenenti alle forze di polizia. Le medesime argomentazioni possono considerarsi estensibili agli operatori di intelligence per gli ordinamenti che riconoscono ai Servizi la facoltà di utilizzare tale strumento d'indagine. Si tratta, pertanto, di contemperare adeguatamente diverse esigenze: da una parte il diritto al rispetto della libertà individuale in tutte le sue molteplici manifestazioni, fra cui il diritto di difendere la propria privacy da indebite intrusioni o ad avere un giusto processo, e dall'altro la necessità di tutelare con l'anonimato chi opera per la tutela della sicurezza.
A questo ultimo proposito, è recente oggetto di discussione tra gli studiosi della materia la proposta di trovare proprio in sede internazionale una soluzione normativa che riconosca la peculiarità dell'attività svolta dagli operatori degli organismi informativi ma che comunque garantisca, in special modo in sede processuale, la tutela dei diritti dei cittadini.
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